Il fondo del mare, parte prima

Una volta ho avuto tutto, e per molti anni ho avuto poco più che niente. Quel poco che avevo l’ho perso in fondo al mare, guardandolo affondare davanti ai miei occhi impotenti. Nel corso degli anni sono tornato più volte nello stesso punto con una piccola barca a remi, che oscillava come se sospinta da qualche bambino dispettoso. Guardavo sempre il fondo, nero come il veleno che lentamente si stava impossessando del mio corpo andando a sostituire il sangue. E in quell’oscurità riuscivo solamente a vedere il mio riflesso frastagliato, un’immagine distorta dal susseguirsi delle onde. I miei occhi stanchi si specchiavano sulla superficie del mare, e riuscivo quasi a sentire il sale che mi bruciava e mi faceva lacrimare. L’unica cosa che ricavavo da quei sempre meno frequenti e più disperati tentativi di recupero era un tocco poco delicato del vento che accarezzava i miei capelli con le sue mani cariche di salsedine.
Diverse volte, anche a distanza di anni, tornai nello stesso punto, a cercare qualcosa che probabilmente non voleva essere trovata. Non avevo alcuna torcia nel buio, e le mie ricerche si fecero vane, limitandosi ad aspettare che qualcosa succedesse per miracolo. Ricevetti in risposta solamente il suono delle onde contro il legno della mia fragile imbarcazione. Nessun canto di sirena.
Mi sentivo ogni volta più stupido a continuare a vivere in quel modo. Ho una collezione di promesse infrante in camera mia, e nessuna di queste infranta da me.
“Prometti che mi scriverai.”
“Prometti che non passeranno altri due anni e mezzo.”
“Prometti che mi amerai per sempre.”
“Prometti che ci rivedremo.”
Un ammasso di vetri rotti, e altrettanti tagli sulle mie mani, raccogliendo quello che rimaneva della mia dignità. Ero troppo orgoglioso per cedere, non mi importava se il prezzo da pagare fosse stato la mia barca che affonda, non avrei mai chiesto aiuto.
Una notte, mentre mi recavo alla spiaggia ad aspettare che la sirena tornasse da me, vidi in lontananza uno strano barlume, simile a quello di una stella, ma più vicino e di un colore inusuale. Era una luce del colore degli smeraldi più puri, di sicuro non una cosa che si trova in natura. Mi fermai per qualche istante a contemplare quello strano fenomeno, riducendo i miei occhi a due fessure pur di intravedere la fonte di quel bagliore. Stavo per muovere un passo in direzione di quel raggio di luce verde, ma mi bloccai all’istante. Il mare mi chiamava verso di sé, con le sue dolci quanto false promesse di restituirmi ciò che mi aveva sottratto.
Sentii un nodo stringersi in gola, osservando la mia piccola barca arenata sulla spiaggia deserta. Quanti viaggi avrebbe potuto sopportare ancora prima di disintegrarsi? Era ormai consumata dal sale, dai piccoli crostacei, e forse ancora di più dalla mia presenza al suo interno. Avevo ormai ingerito e prodotto così tanto veleno da essere diventato leggermente corrosivo al tatto. Quel denso liquido nero mi rallentava nei movimenti, e mi affaticava ogni giorno di più. Stavo cominciando a perdere la sensibilità ai polpastrelli per colpa di quel morbo dell’animo. Mi chiedevo cosa avrei fatto una volta incontrata la sirena. Il veleno era così tanto che non mi avrebbe nemmeno riconosciuto. Era stata lei a dirmi di cambiare, e ora non ero quasi più sicuro di essere lo stesso di prima, ero stato lentamente sostituito, un pezzo alla volta.
Quella notte decisi di dare le spalle a chi mi avrebbe piantato un coltello nella schiena alla prima occasione. Una cicatrice in più non avrebbe fatto la differenza. Lasciai a riposo la barca a remi, e mi diressi a passi decisi verso la misteriosa luce verde, che, quasi paradossalmente, si faceva sempre meno abbagliante man mano che mi avvicinavo ad essa. Camminai facendo attenzione a non inciampare sulle rocce sempre più grandi ed appuntite che incontravo sulla strada. La fonte del bagliore si trovava in cima ad una scogliera. Stava dormendo tranquillamente, rannicchiata su un fianco, su un letto di erba.

 Parte Seconda

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